Che riguardi il settore industriale, sanitario o gli ambienti urbani e rurali, le infestazioni da roditori possono rappresentare una vera e propria piaga. Topi e ratti, infatti, riescono ad arrecare molteplici danni, tra cui quelli strutturali ad edifici ed impianti elettrici, attraverso l’attività di rosura, con possibilità di insorgenza di incendi e cortocircuiti. Possono danneggiare le derrate alimentari, cibandosene, contaminandole attraverso l’urina o le feci o rimanendo intrappolati all’interno dei macchinari di lavorazione delle aziende; in quest’ultimo caso il ritrovamento nel prodotto finito ne conferisce la non idoneità al commercio. Infine, possono essere responsabili di diverse malattie e portatori di parassiti trasmissibili all’uomo. La loro presenza viene spesso rilevata grazie al ritrovamento degli escrementi, al forte odore di ammoniaca che lascia l’urina, alla presenza di rosure su pavimenti/pareti, nonché al reperimento di materiale danneggiato.
A causa di questi numerosi fattori si rende necessario il loro repentino allontanamento e, l’eliminazione dei suddetti da uno specifico luogo, è spesso affidata all’utilizzo di rodenticidi, sostanze biocide che consentono un controllo rapido ed economico dei roditori commensali, ma che portano l’animale stesso e frequentemente anche individui di specie non target, ad una morte lunga e sofferente.
Il meccanismo di azione di tali sostanze è basato sull’impedimento della sintesi dei fattori di coagulazione nel sangue dei vertebrati; i sintomi tipici riscontrati post-ingestione sono anemia, dispnea e letargia, con morte derivante da emorragie interne [1].
Tali composti possono essere divisi in prima, seconda e terza generazione. Gli anticoagulanti di prima generazione devono essere ingeriti per alcuni giorni consecutivi (ingestione multipla) affinché venga raggiunta la concentrazione letale all’interno del corpo dell’animale bersaglio. In seguito allo sviluppo di resistenza nelle popolazioni dei roditori [2], i rodenticidi di prima generazione sono stati sostituiti dagli anticoagulanti di seconda e terza generazione, ad ingestione singola, molto più potenti rispetto ai primi poiché la sostanza, una volta entrata all’interno dell’organismo bersaglio, non subisce una rapida degradazione e può esplicare lentamente il proprio effetto. Presentando una maggiore affinità per i siti di legame nel fegato, mostrano una maggiore tossicità, nonché una maggiore capacità di accumulo e persistenza [3; 4]; la lunga emivita biologica nel tessuto epatico dei roditori, costituisce un potenziale pericolo per i predatori, che cibandosene manifestano i medesimi sintomi della preda (avvelenamento secondario).
La morte per avvelenamento da anticoagulanti infatti non è immediata, ma avviene alcuni giorni dopo l’assunzione [5] ed è stato riportato che, in seguito all’ingestione di esche, la maggior parte dei roditori subisce un importante cambiamento a livello comportamentale: il loro normale ritmo circadiano viene alterato e la loro risposta di sorpresa, in caso di esposizione ad una minaccia, cambia da fulminea al puro congelamento [6], incrementando la probabilità di predazione.
Il rischio che i rodenticidi rappresentano per gli animali è riconosciuto e quindi, il loro utilizzo viene regolamentato (Allegato I della Direttiva sui Biocidi (98/8/CE)) attraverso delle restrizioni che prevedono la mitigazione del rischio, tra cui, l’utilizzo di tali prodotti solo da parte dei professionisti, l’utilizzo di scatole protettive per le esche – poiché anche altra fauna selvatica, nonché domestica, ne è esposta – e l’obbligo di cercare e rimuovere i roditori morti.
Al contempo, sebbene non rientri nella categoria dei rodenticidi, anche la colla per roditori è un mezzo di eliminazione estremamente dannoso. In caso di invischiamento, il roditore viene intrappolato fisicamente dalla colla sul substrato che la contiene e nello sforzo di liberarsi possono crearsi delle lacerazioni nella pelle. Maggiore è il tempo trascorso sulla colla, maggiori sono i danni riportati. La morte sopraggiunge per sfinimento dell’animale nel tentativo di fuga, per fame o per soffocamento qualora il muso venisse totalmente avvolto dalla colla. Se non vengono nascoste opportunamente, queste trappole espongono la preda – parzialmente immobilizzata – all’attenzione dei predatori, i quali rischiano a loro volta di subire l’invischiamento.
Se per gli animali avvelenati da rodenticidi che riescono a giungere ad un centro di recupero di fauna selvatica, per i danni interni riportati, non c’è praticamente salvezza; gli animali che giungono incollati hanno delle prospettive di vita incerta. La pulizia dalla colla richiede una delicata e lunga manipolazione – che può durare giorni – con farina o cenere, le eventuali ferite richiedono una costante pulizia. Spesso l’animale è completamente immobile, il che lo rende non autosufficiente, quindi la somministrazione di acqua ed alimenti avviene in maniera forzata. Nonostante tutti questi sforzi, il danno connesso al contatto prolungato con la colla porta comunque il paziente ad un elevato rischio di morte per intossicazione. Infine, non sempre l’animale una volta ripulito dalla colla è immediatamente reintroducibile: basti pensare, nel caso di volatili, che le penne perse/rotte verranno cambiate solamente durante la muta, che può verificarsi nei mesi successivi o addirittura l’anno seguente, obbligando il selvatico ad una detenzione prolungata. L’asportazione completa della colla è indispensabile, ma rappresenta un’enorme fonte di stress per il paziente, il quale può anche morire a causa delle frequenti manipolazioni.
Esistono degli accorgimenti semplici ma efficaci per allontanare i roditori, senza condannare loro ed altri animali:
- Smaltire correttamente i rifiuti ed eliminare le fonti di accesso al cibo, tramite una corretta conservazione dello stesso in appositi contenitori e/o mobili.
- Rimuovere possibili rifugi, tappare i buchi, gli accessi, tutte le possibili vie d’entrata e d’uscita.
- Se non vi sono animali domestici, gli apparecchi ad emissione di onde elettromagnetiche o ultrasuoni, non udibili all’uomo, possono essere un’ottima soluzione.
- Utilizzare repellenti naturali con odori sgradevoli ai roditori.
- Utilizzare trappole ad esca (NON avvelenata!) per intrappolare temporaneamente il roditore, per poi liberarlo a diversi chilometri di distanza. In questo caso, è estremamente importante controllare spesso la trappola, onde evitare di catturare il roditore e lasciarlo morire di fame.
- Incoraggiare la presenza di predatori naturali, ad esempio tramite la collocazione di cassette-nido per uccelli rapaci, oppure tenendo le aree in cui possono esserci cunicoli scavati dai roditori libere da vegetazione.
Michela Padovani
Bibliografia
[1] DuVall MD, Murphy MJ, Ray AC, Reagor JC. Case Studies on Second-Generation Anticoagulant Rodenticide Toxicities in Nontarget Species. Journal of Veterinary Diagnostic Investigation. 1989;1(1):66-68. doi:10.1177/104063878900100118
[2] Buckle, Alan P., Colin V. Prescott, and Keith J. Ward. “Resistance to the first and second generation anticoagulant rodenticides-a new perspective.” (1994).
[3] Vandenbroucke, Virginie, et al. “Pharmacokinetics of eight anticoagulant rodenticides in mice after single oral administration.” Journal of veterinary pharmacology and therapeutics 31.5 (2008): 437-445.
[4] Hughes, J., et al. “Monitoring agricultural rodenticide use and secondary exposure of raptors in Scotland.” Ecotoxicology 22.6 (2013): 974-984.
[5] http://www.ulss22.ven.it/UploadDocs/6306_I_Rodenticidi___dr__A__Baseggi
[6] Cox, Paula, and R. H. Smith. “Rodenticide ecotoxicology: pre-lethal effects of anticoagulants on rat behaviour.” Proceedings of the Vertebrate Pest Conference. Vol. 15. No. 15. 1992.